La scuola al tempo del Covid 19

Correre restando a casa, per reinventarsi la scuola

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Correre restando a casa. Sembra quasi una composizione poetica ermetica. Invece, è questa la sintetica definizione data alla didattica a distanza dalla professoressa Tania Grasso, quasi a voler evitar perfino un “assembramento” di parole. Un immane lavoro, quello svolto da lei, dai suoi colleghi e da tutti i docenti italiani, in questo periodo di emergenza Sanitaria.

Avevano messo tutti lo stop al registratore della vita. Così continua il racconto della professoressa Grasso mentre, dal punto di vista di un narratore personale, descrive le soluzioni e le risposte didattiche individuate dalla propria scuola durante l’emergenza. 

La nuova didattica a distanza è fredda, quasi disumana poiché priva la scuola di alcune tra le sue componenti più significative – la dimensione sociale e interattiva, il calore delle anime, il senso di appartenenza a una classe e a un gruppo – ma evidenzia, anche, che il lavoro svolto con determinazione e passione può   ugualmente riempire di soddisfazioni i cuori di docenti e alunni.

Il serioso resoconto della professoressa Tania Grasso veicola tutta l’autorevolezza del ruolo di un docente che rappresenta il punto di riferimento per i propri alunni; ma, allo stesso tempo, diventa un piacevole racconto, frammentato dall’emozione, scandito da pause e silenzi: la musica non suonava più per noi, perfino il cinguettio degli uccelli, seppur soave, all’improvviso, quasi stonava in quel silenzio. Tutto era fermo, le anime completamente smarrite di fronte a un invisibile nemico che ancora non conoscevamo. Tutto fermo, anche lo sguardo dei miei alunni che, nel terrore, chiedevano cosa stesse realmente accadendo.

E, se un attimo prima o un attimo dopo, le notizie che arrivavano dai media o dai familiari gruppi WhatsApp destavano preoccupazione e sconforto, quelle giovani voci impaurite che provenivano da dietro uno schermo evidenziavano tutta la fiducia riposta, anche a distanza, nei propri docenti. Gli studenti attendevano risposte concrete e rassicuranti; avevano bisogno di ritornare subito al loro posto di alunni e promettevano disponibilità, impegno e determinazione. 

Era un’opportunità da cogliere, senza ombra di dubbio.  Tutto si fermava, ma noi, pur restando a casa, dovevamo iniziare correre, correre contro il tempo.  Sembrava strano, ma, come la natura, che seguiva il suo corso senza mai arrestarsi e si rigenerava, così anche noi dovevamo correre e reinventare la scuola, dovevamo reinventare un nuovo modo di insegnare, tutti dovevamo metterci in discussione e garantire il diritto allo studio ai nostri studenti.

 Si trattava di un nuovo modo di fare scuola, un’ottima occasione per crescere, anche professionalmente.

La nostra scuola – continua la prof.ssa Grasso – è un esempio di dinamicità, un vero laboratorio di ricerca attiva in cui i docenti, con spirito collaborativo e aperto alle innovazioni, sono pronti a sperimentare nuove azioni didattiche per perseguire apprendimenti significativi e rispondere in maniera celere e personalizzata ai bisogni di ognuno e di ciascuno. Tutti, ma proprio tutti, si sono messi in discussione, anche chi, prossimo alla pensione, si è cimentato con softwares nuovi e con un diverso modo per interagire con le classi, attraverso le piattaforme social.

Bisognava proseguire il discorso didattico e, allo stesso tempo, dare un’ulteriore spinta alle motivazioni intrinseche degli alunni.

Ma come fare? Cosa poteva interessare i nostri giovani? Sono questi gli interrogativi a cui hanno cercato di rispondere la professoressa e i suoi colleghi.

Spesso, attraverso i videogiochi e i social, gli adolescenti fanno un uso piuttosto passivo dei dispositivi multimediali. Bisogna riconoscere, però, che essi hanno una grande familiarità con i supporti tecnologici: abilità che andavano potenziate e rese proficue.

I nativi digitali dovevano essere opportunamente guidati per tradurre questa familiarità in competenze.

Alunni, che fanno metacognizione, riflettono sui processi cognitivi e le tappe del percorso didattico svolto, dimostrano di aver acquisito le competenze procedurali; alunni protagonisti del proprio sapere, che attraverso la metodologia della flipped classroom, lavorano in maniera individuale, seguendo le indicazioni fornite dal docente che, in veste di tutor e supervisore, li segue offrendo loro video-tutorials, videolezioni, podcasting e assistenza chat in stile forum.

 Sembra un corso di aggiornamento per docenti. E invece no. Basta guardare i giornalini realizzati sull’ambiente o sull’inquinamento, gli esperimenti di scienze fatti a casa e condivisi con i propri docenti, come se fossero fatti da Youtubers esperti, oppure entrare nei siti web realizzati dagli alunni per rendersi conto di quanto la scuola stava già correndo e abbia continuato a correre ancora più velocemente durante il lockdown.

Già, perché, dopo le indicazioni fornite dalla prof.ssa Grasso, esperta in informatica e webmaster, su come realizzare un sito web con Google Sites, i suoi alunni sono passati all’opera realizzando un sito personale, per riutilizzare attivamente i contenuti di scienze presentati e sviluppati a scuola.

I loro siti internet sono lì, visibili e consultabili da remoto, tramite i link; con soddisfazione e entusiasmo, li fanno vedere ai parenti e agli amici. Sono soddisfazioni per loro ma anche per noi docenti. La passione e l’amore per questo lavoro sono sempre ricompensati. Quando qualche giorno fa Saverio, uno dei miei alunni, mi ha scritto su whatsapp dicendomiProf adesso metto sul sito anche un tutorial per far capire come funziona, per chi non se la cava molto come mia nonna e perché molti mi stanno chiedendo come ho fatto a farlo” ho pensato che il nostro lavoro non è vano, le strategie adottate sono efficienti.  Quella di Saverio mi è sembrata subito un’idea originale e, quando dopo solo poche ore, mi ha girato il link del suo sito internet -https://sites.google.com/view/tuttalascienza/home-page appena revisionato, ho avuto io stessa l’occasione di fermarmi un attimo e riflettere.

Il sito di Saverio e quelli degli altri suoi compagni dimostrano l’efficacia della classe capovolta e evidenziano quanto i compiti di realtà siano immediati e facilmente realizzabili.

Nella scuola anche i docenti, hanno occasione di imparare, rielaborare e riflettere per ricostruire e migliorarsi. 

Le simpatiche  e altruiste riflessioni di Saverio sulla nonna e la sua volontà di mettere a disposizione degli altri le proprie nuove competenze fanno pensare che la scuola, oltre a farsi carico di perseguire la competenza digitale debba  anche puntare a sviluppare una competenza di condivisione: condividere le conoscenze per accorciare quello che oggi si suole chiamare “digital divide”, ovvero il divario digitale di tipo generazionale, come quello che separa “nonna e nipote” o quello dovuto a un diverso accesso  alle informazioni e alle conoscenze, come quello che differenzia  Saverio da quei suoi amici che gli chiedono come ha fatto a realizzare il suo sito web.

Una competenza di condivisione costruita in ambiente scolastico attraverso cui Saverio e i suoi compagni riescono già a offrire il proprio contributo per accorciare il divario digitale con i propri prossimi.

Nella speranza di poter ritornare presto in aula a rivivere le emozioni che solo una didattica in presenza può garantire, si può certamente affermare la scuola si è fatta trovare pronta per questa nuova sfida, ha saputo raccoglierla e affrontarla in maniera efficace.

Le scelte didattiche, la valutazione, l’azione didattica, ogni componente è stata rivista e ristrutturata, in un lasso di tempo estremamente esiguo. Molti parlano del deciso salto nel futuro fatto dalla scuola. Dirigenti e docenti, con quotidiani confronti virtuali, con caparbietà e spirito di condivisione, si sono adoperati nel proprio lavoro con i pochi strumenti personali che avevano a disposizione; per ben tre mesi, pur di riprendere a correre, con grande professionalità, contro ogni logica di razionalizzazione del lavoro, hanno dedicato gran parte delle proprie energie quotidiane al tempo lavorativo, andando incontro a situazioni di overworking.

Oltre la stanchezza fisica e mentale dovuta a tali processi, rimane la consapevolezza di aver consolidato strategie che rappresentano un punto di partenza e non di arrivo e rimane anche, come evidenziato dalla prof.ssa Grasso, qualche lieta soddisfazione che prezzo non ha.

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