Renato Caccioppoli: il fascino dell’ingegno

Napoli, metà degli anni ’30. Un giovane allampanato, vestito con elegante trascuratezza, passeggia per via Caracciolo tenendo un gallo a guinzaglio. Non si tratta di un qualche scherzo goliardico, ma di uno sberleffo politico mirato contro una disposizione fascista che vieta agli uomini di portare a spasso i cani.

Nel maggio del 1938 l’irrisione diventa sfida aperta: quando Hitler è in visita ufficiale nella città partenopea lo stesso giovane, in una trattoria di Mergellina, paga lautamente quattro musicanti improvvisati perché suonino la Marsigliese e, non contento, si mette a concionare contro il fascismo e il nazismo in presenza di agenti dell’OVRA.

L’autore di queste temerarie bravate è Renato Caccioppoli, professore di teoria dei gruppi all’università di Napoli, nato il 20 gennaio 1904 nella città partenopea da un affermato chirurgo, Giuseppe, e da Sofia Bakunin, figlia dell’anarchico russo Michail A. Bakunin, che soggiornò a più riprese in Italia, da ultimo nel 1874 quando organizzò nel Bolognese un tentativo di insurrezione miseramente fallito (come narra Riccardo Bacchelli nel romanzo Il diavolo al Pontelungo).

Con il regime non si scherza: Caccioppoli è stato già arrestato qualche anno prima, per accattonaggio, quando aveva voluto sperimentare di persona la vita dei barboni, e questa volta una condanna severa sembra inevitabile. Ma la sua è una famiglia in vista, e la sorella della madre, Marussia (o Maria) Bakunin, stimata professoressa di chimica presso la Scuola Politecnica, interviene in suo favore presso le autorità sostenendo che il nipote soffre di disturbi psichici. Caccioppoli viene ricoverato in una clinica psichiatrica, insieme con schizofrenici e paranoici, e successivamente in una casa di cura privata, per alcuni mesi. Durante questo soggiorno coatto, accettato con disincantata nonchalance, riesce a mantenere i contatti con i suoi allievi e porta a termine uno dei suoi più originali lavori scientifici. La solitudine forzata, c’è da dire, sembra non dispiacere troppo ai matematici: per citare un altro illustre esempio, André Weil, mentre si trova rinchiuso nel 1940 nella prigione militare di Rouen per renitenza alla leva, riesce a dimostrare un risultato fondamentale e si dichiara convinto che «nulla favorisce le scienze astratte più del  carcere».

Vera o falsa che sia la storia del gallo, e per quanto intessuta di leggenda possa essere la vicenda della Marsigliese (Ermanno Rea in Mistero  napoletano la racconta un po’ diversamente), rimane il fatto che tutti coloro che ebbero modo di conoscere Renato Caccioppoli  concordano  nel  dipingerlo  come  un  personaggio  fuori  degli  schemi, «istintivamente ribelle ad ogni conformismo e ad ogni forma di tirannia», intransigente e scontroso, eppure dotato di un irresistibile fascino intellettuale. Questi stessi tratti distintivi, possiamo dire, si ritrovano nella sua opera di matematico. Dalla teoria della misura all’analisi funzionale, dalla teoria delle funzioni analitiche delle equazioni ellittiche, le sue ricerche si contaddistinguono per originalità e profondità di pensiero. Come scrisse uno dei suoi alllievi più brillanti, Carlo Miranda, in un commosso necrologio pubblicato subito dopo la sua tragica morte, Caccioppoli «non amava il lavoro di lima e di rifinitura, ma preferiva affrontare costantemente problemi nuovi e con l’intuito geniale di cui era dotato sapeva spesso precorrere i tempi aprendo nuove vie al progresso della scienza». Proprio per questa ragione, fu in gran parte per merito di Caccioppoli se la matematica italiana, nel campo dell’analisi, riuscì ad attraversare quasi indenne il lungo isolamento imposto dal fascismo e dalla guerra.  Oltre ai suoi  numerosi allievi diretti (tra gli altri, Giuseppe Scorza Dragoni, il già ricordato Miranda, Gianfranco Cimmino, Tullio Viola, Guido Stampacchia,  Carlo Ciliberto), molti altri matematici – da Lucio Lombardo Radice a Ennio De Giorgi – hanno riconosciuto in lui un maestro e un modello.

La carriera universitaria di Caccioppoli fu rapida e brillante, ma del tutto aliena dalle logiche di potere accademiche. Dopo aver abbandonato gli studi di ingegneria (un’imposizione della famiglia), si iscrive a matematica e si laurea nel 1925 con Ernesto Pascal. Indeciso se proseguire nello studio di questa disciplina o dedicarsi alla musica diventando pianista o direttore d’orchestra, incontra Mario Picone che ne riconosce il talento e lo indirizza alla ricerca nel campo dell’analisi matematica. Nel giro di pochi anni pubblica una trentina di articoli scientifici e nel 1931, appena ventisettenne, occupa la cattedra di analisi algebrica all’università di Padova. Tre anni dopo ritorna nella sua Napoli, amatissima e insieme odiata, dove rimarrà fino alla morte, avvenuta l’8 maggio 1959: si uccide con un colpo di pistola alla nuca.

Gli importanti risultati otttenuti da Caccioppoli nei settori, soprattutto, dell’analisi funzionale e della teoria geometrica della misura, pur sufficienti a fare di lui uno dei magiori matematici italiani del secolo passato, non esauriscono la grandezza del suo genio né bastano a spiegare il fascino tutto particolare che promana dalla sua figura – quel fascino che ha sedotto Mario Martone, regista del film Morte di un matematico napoletano (co-scenegggiato con Fabrizia Ramondino) e Ermanno Rea, che a Caccioppoli ha dedicato pagine memorabili del suo Mistero  napoletano.  Pianista talentuoso, poliglotta (ma spesso preferisce esprimersi,  anche con  gli studenti, in napoletano schietto), fine conoscitore della poesia francese, causeur famoso per le sue battute al vetriolo, appassionato di teatro e di cinema, Caccioppoli fu uno dei protagonisti della vita culturale, politica e anche mondana della Napoli del dopoguerra.  Frequenta gli stessi salotti, gli stessi circoli, gli stessi caffè di La Capria, Ghirelli, Anna Maria Ortese, Patroni Griffi, Francesca Spada, Alicata: a Sorrento incontra Gide, che nel suo Journal ricorderà quegli occhi così sfavillanti d’intelligenza, frequenta Moravia ed Elsa Morante, si lega d’amicizia con Neruda ed Eluard.  La sua notorietà non è limitata ai cenacoli intellettuali: quando di giorno percorre la strada da Palazzo Cellamare, dove abita, fino all’università, quando fino a notte alta passa da un caffè all’altro tutti riconoscono, non foss’altro che per l’esile silhouette di dandy trasandato, ‘o prufessore,  o come anche lo chiamano ‘o genio.

L’impegno politico fu sempre vissuto da Caccioppoli come un dovere morale al quale era impensabile sottrarsi. L’amore per la libertà, la critica feroce delle convenzioni borghesi, l’insofferenza per l’arroganza e la stupidità del potere, non gli derivavano soltanto da una tradizione familiare dominata dall’ingombrante figura del nonno, Bakunin, ma forse erano anche conseguenza diretta del suo inflessibile rigore intellettuale e, in particolare, della sua attività di matematico.  Come ebbe modo di scrivere un altro grande matematico libertario, Laurent Schwartz, «la scoperta matematica, che dipende assai poco dall’autorità costituita, è di per sé sovversiva e sempre incline a infrangere i tabù». Antifascista spontaneo, repubblicano fervente in una Napoli che nel referendum del 1946 votò in larghissima maggioranza per la monarchia, partigiano della pace, Caccioppoli, pur rimanendo sempre legato agli ambienti del Pci, non volle mai iscriversi al partito, per ragioni che vanno forse ricercate nelle radici anarchiche delle sue idee.  In almeno due occasioni, nel 1953 e nel 1954, gli fu negato il visto sul passaporto per partecipare a congressi internazionali, in Polonia e in Olanda: se ne lamenta con Picone, in lettere dal tono assai poco accademico, inveendo contro gli Scelba e i Fanfani che ravvisano «in tanti Italiani […] se non proprio dei nemici della Patria, almeno dei cittadini discriminati».

Nessuno seppe dare una spiegazione al suo suicidio, ma nessuno, in fondo, ne rimase sorpreso. Certo, la moglie Sara Mancuso, più giovane di lui di sedici anni, lo aveva lasciato per Mario Alicata, critico letterario e dirigente comunista, con il quale aveva una relazione da circa dieci anni.  Ma più di questo, chissà, pesarono la denuncia dei crimini del regime stalinista da parte di Kruscev al XX congresso del Pcus, i fatti d’Ungheria, l’opprimente clima della guerra fredda, il tramonto di ideali che erano stati la linfa vitale di una generazione. Forse, più semplicemente, come osservò con finezza Emma Castelnuovo in una lettera a Picone, Caccioppoli «non era uomo che potesse invecchiare né ammalarsi e, ammalatosi, fermarsi; questa sua vita, breve, tumultuosa, angosciata fino alla fine, ha avuto anch’essa un profondo significato, e non solo per la scienza».

Genova,  4 ottobre 2004

Claudio Bartocci

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